Geotermia, come funziona il calore dal sottosuolo. E milioni di famiglie non dovranno ristrutturare per essere in regola con l’Ue

CORRIERE:  C’è un impianto di trivellazione, non lontano da Ferrara, che funziona notte e giorno. Niente a che vedere con le contestate trivellazioni per gas e idrocarburi: qui si scava in nome della sostenibilità e dell’impatto zero. Ambiente ed energia pulita per tutti sono tra gli obiettivi dell’impresa privata che sta pagando gli scavi, come delle amministrazioni locali: dal comune alla Regione Emilia Romagna. Si scava — si potrebbe dire con un giro di parole — per trovare l’acqua calda. In realtà per raggiungere quegli strati del sottosuolo dove l’energia contenuta dalle rocce magmatiche può essere ceduta all’acqua o ad altri fluidi e fatta salire in superficie per alimentare impianti di tele-riscaldamento. Il primo obiettivo è quello di far funzionare — e potrebbe accadere entro pochi mesi — un impianto per riscaldare 365 giorni l’anno un sistema di serre agroalimentari estese su 30 ettari. Ma nel giro di pochi anni questa centrale collegata alle viscere della Terra potrebbe riscaldare, da sola, ben 120 mila case.

A Ostellato si scava il primo pozzo geotermico a media entalpia: «Siamo già a – 3400 metri». Quando sarà pronto nel 2024, l’impianto (in tutto 8 pozzi) fornirà calore al tele-riscaldamento nel Ferrarese. Un investimento da 220 milioni di euro sostenuto dalla società privata Fri-El Geo, che con il Progetto Pangea vorrebbe scavare 100 pozzi come questi in tutta la Pianura Padana

Siamo ad Ostellato, dove l’impianto del primo pozzo geotermico a media entalpia (un sistema che permette lo sfruttamento del calore contenuto nel primo strato di sottosuolo, attraverso l’iniezione di un fluido vettore, per mezzo di una pompa di calore) promette di garantire una affidabilità del 100% nel fornire energia sotto forma di calore: una fonte rinnovabile programmabile e a lungo termine. Produrrà anche energia elettrica ma questo è un aspetto secondario, sottolineano i progettisti. Quando? Quel che è certo è che gli scavi sono a buon punto: «Abbiamo raggiunto i 3400 metri di profondità, passato le formazioni critiche e pensiamo in un mese e mezzo di raggiungere il target cioè il serbatoio carbonatico contenente il fluido geotermico — spiega l’imprenditore Ernst Gostner che insieme ai 4 figli ha fondato la Fri-ElGeo, società leader nello sviluppo di impianti geotermici a media entalpia — . Però ci vogliono sempre due pozzi per fare il giro, il cosidetto ‘doppietto’: un pozzo di espansione e uno di re-iniezione».

 

Dunque dopo il primo scavo ne seguirà un altro, ma sarà meno impegnativo assicurano gli ingegneri: «La nostra intenzione è di realizzare 4 doppietti il primo sarà completato nel 2024». E dunque già quell’anno potrebbe cedere calore alle nostre serre. «Un impianto come quello di Ostellato potrà produrre da 200 a 240 megawattora (MWh) termici», conferma Gostner dalla sede di Bolzano. Poi ancora pochi mesi e l’intero sistema sarà in funzione, alimentando il tele-riscaldamento della zona industriale di Ostellato (Sipro).
Uno degli aspetti rivoluzionari del progetto è proprio qui: a Ferrara come a Milano, Bergamo e Brescia — dove Fri El Geo ha allo studio altri interventi — l’utilizzo della geotermia a media entalpia potrebbe risolvere uno dei problemi chiave dei prossimi 12 anni, ovvero il rispetto della direttiva Ue «Energy Performance of Building», che impone dal 2029 lo stop all’immissione sul mercato di caldaie a combustibili fossili autonome. L’obiettivo era già stato anticipato nelle linee guida sul risparmio energetico del pacchetto RePower EU.

 

Dottor Gostner, voi siete certi che il progetto di Ostellato potrà cambiare le prospettive energetiche (e di spesa familiare) di migliaia di italiani: perché?
«E’ un tema forte, poiché pochi politici e solo una piccola parte dell’opinione pubblica si rendono conto di cosa significhi la nuova normativa Eu sulle case eco-sostenibili. In Commissione europea si è stabilito che tutti gli edifici dei Paesi membri dovranno essere CO2 free entro 2035. Se io oggi porto in un quartiere di una città italiana questo tipo di energia termica, con il tele-riscaldamento, non ci sarà più bisogno di ristrutturare le case, in quanto saranno tutte CO2 free. Il sistema funziona, in modo efficiente: lo dimostrano le esperienze in Germania e Paesi Bassi».

Nel frattempo gli scavi di Ostellato proseguono a ritmi sostenuti. Per fare un pozzo occorre scavare fino a quasi 6 mila metri: ci vogliono più o meno 120 giorni di lavori. Ma non va fatta una somma algebrica per la realizzazione di tutti gli 8 pozzi. «Prevediamo comunque che dovremmo essere pronti in due anni e mezzo con tutti i 4 doppietti completati». Quindi la messa in funzione dell’impianto a valle sarà probabilmente effettiva già nel 2025, avviando tutti gli 8 pozzi. Tempi stupefacenti nel settore della produzione di energia, «ma è questo un altro aspetto fantastico della geotermia in media entalpia — nota Gostner — non sono impianti come quelli nucleari, per i quali servono 10-15 anni di costruzione. Noi dopo due anni siamo già in grado di fornire calore».

 

Ostellato non è che il primo step del vostro Progetto Pangea, che ipotizza almeno 100 centrali simili nell’area della Pianura Padana: quanta emissione di CO2 l’anno potrebbe far risparmiare ?
«Ostellato potrebbe far risparmiare 40.000 tonnellate di CO2 all’anno. Ma nel complesso con il Progetto Pangea potremmo arrivare a ridurre il fabbisogno del gas nazionale dal 10 al 15% grazie alla realizzazione di 100 impianti. In tutta la pianura Padana significherebbe un risparmio di 17 milioni di tonnellate di CO2».

La geotermia in Italia, però, sembra riscuotere scarsa attenzione da parte delle istituzioni…
«In realtà fino ad ora lo sfruttamento della geotermia in Italia era al 100% nelle mani di Enel Green Power, dunque concentrato in Toscana. Motivo per cui fino ad oggi non è stato fatto nulla per rilanciarlo. Ma nel settore qualcosa si sta muovendo, in particolare per gli impianti a media entalpia come quelli progettati da Fri-El Geo. Rimane però evidente che esiste una “barriera di entrata” nell’ambito degli investimenti sulla geotermia, un costo molto alto che fa sì che in Italia la costruzione di impianti di media entalpia vada finanziata in full equity. Noi come società, soltanto per questo nostro primo pozzo abbiamo speso finora circa 50 milioni di euro e molti di più ne serviranno per il Progetto Pangea. Però abbiamo avuto contatti importanti con il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin. Ho avuto con lui due colloqui: mi pare fortemente convinto del potenziale; lo ha confermato a noi e ad un meeting in Confindustria».

 

Che prospettive ci sono, dunque, sul fronte legislativo?
«L’Italia soffre di una normativa non al passo con i tempi: c’è un vuoto per la parte termica, che è quella più importante. Ci auguriamo che una nuova legge sia fatta entro fine 2023. Più tarderà questa normativa, più si allungheranno i tempi per renderci meno dipendenti dal gas. Che tipo di legge? Potremmo seguire l’esempio della Francia, che dagli Anni ‘80 ha u sistema di garanzie del rischio che ha facilitato lo sviluppo della geotermia».

Cinquanta milioni per un solo pozzo sono un impegno pesante anche per la vostra newco che fa capo al gruppo Fri-El Green Power, con 2,2 miliardi di fatturato nel 2022. Per questo all’inizio di aprile avete aperto a nuovi investitori con la scelta di affidare un mandato a Equita per vendere il 50% di Fri-El Geo?
«Il nostro Progetto Pangea sul tele-riscaldamento delle città in Pianura Padana, con i prossimi impegni a Milano, Bergamo e Brescia prevede 100 siti, 15 dei quali di fatto già autorizzati o in fase di autorizzazione per le fasi esplorative entro due anni. L’impegno finanziario sarà enorme, anche se si prevede un ritorno altrettanto imponente in termini di fatturati e ricavi. Per questo cerchiamo partner al 50 per cento per Pangea. E non credo sarà difficile convincere gli investitori: basterebbe guardare a quel che è stato fatto in Germania e nei Paesi Bassi con soluzioni di questo genere. Nella Repubblica Federale ci sono già 46 impianti operativi, in Olanda 26. Pensate che se nel 2022 i tedeschi avevano in costruzione solo 4 impianti (più 12 in fase autorizzativa), nel 2023 sono già saliti a 34 cantieri e 82 in via di autorizzazione».

 

Come Pianeta 2030 aveva spiegato nell’inchiesta sugli impianti della Valle del Diavolo (leggi qui), tra le fonti rinnovabili utili alla produzione di elettricità, la geotermia è quella che comporta il minor consumo di suolo, presentando un impatto cinque volte più basso del fotovoltaico sono il profilo planimetrico. L’impiego ad uso civile della risorsa data dal calore contenuto all’interno della Terra sfrutta le risorse contenute nel sottosuolo fino a 4-5 km di profondità. E l’energia racchiusa nel sottosuolo potrebbe ricoprire un ruolo importante nell’avanzamento della produzione di elettricità e calore da fonti alternative in Italia, senza emissione di gas serra: «la soluzione migliore per una significativa riduzione di emissioni climalteranti», rivendicano da Bolzano. Ne sono convinti i ricercatori, così come parte delle istituzioni: il governo Draghi aveva già previsto — con il «decreto sonde e impianti pilota» — una semplificazione delle norme per l’autorizzazione ad installare impianti geotermici. Eppure parte dell’opinione pubblica nutre ancora forti dubbi sul settore.

C’è un tema legato alle presunte emissioni della geotermia, che frena parte degli italiani nell’accettare nuovi impianti. Qual è il problema?
«In realtà è un ‘problema’ che riguarda la geotermia ad alta entalpia, quella della Toscana per intenderci. Nel caso della media entalpia non c’è alcuna emissione né di vapori né di gas o odori sgradevoli. Non ci sono problemi ambientali di alcun genere, rispetto alle perplessità che invece accolgono la geotermia tradizionale (ndr. come quella nella Valle del Diavolo in Toscana, per intenderci, dove i fluidi geotermici in uscita sono filtrati da impianti Amis, per l’abbattimento di mercurio e idrogeno solforato), dato che con la media entalpia il fluido geotermico si può reiniettare al 100%: non c’è nessuna dispersione vapori, di gas, di odori. L’unica cosa che il fluido cede è il calore. Tecnicamente, dopo la costruzione dei pozzi ‘doppietti’ (due anni ciascuno) viene costruito l’impianto CRC con vapore a media entalpia, ovvero a 150 gradi: al posto dell’acqua viene usato un idrocarburo che evapora già a 70 gradi e che alimenta speciali turbine in un circuito chiuso. Oltre al calore portato in superficie e incanalato nel teleriscaldamento, il vapore espanso nelle turbine produce energia meccanica che a sua volta genera energia elettrica per coprire i consumi termici che non sono sempre costanti (ndr. i consumi non sono uguali per tutto il giorno e l’eccesso di calore può essere convertito in energia elettrica: servono 8 KWh termici per produrre 1 KWh elettrico). Questa energia sarà reimmessa in rete tramite un collegamento da generatore alla rete nazionale».

Esistono rischi sismici nel perforare a 5000 metri di profondità?
«Non esistono, per il semplice motivo che noi non puntiamo sulle faglie e la pressione usata nei pozzi è tanto bassa da non suscitare alcun rischio. Lo si vede in tutti gli impianti già fatti in Olanda e Germania. Dunque il rischio di subsidenza (ndr. di abbassamento del suolo) è zero. A Ferrara alcuni vecchi pozzi petroliferi non produttivi sono stati convertiti in pozzi geotermici producendo acqua a circa 100 gradi per alimentare la rete urbana di teleriscaldamento (ndr. gestita dal gruppo Era). Hanno tre pozzi, uno di iniezione e due di produzione, che funzionano da 35 anni e non hanno un solo problema. Dunque anche quella esperienza ci dà forza».

Quale percentuale del fabbisogno elettrico nella Pianura Padana copriranno i nuovi pozzi a media entalpia? E che cosa significherà per la qualità dell’aria nelle regioni interessate? Se non sbaglio ben 13 dei vostri 15 progetti in fase di approvazione riguardano la Padania, la zona d’Europa a più alto tasso di inquinamento…
«Non è un calcolo semplice. In realtà parliamo di gas e non di elettricità. Perché se riuscissimo a togliere la metà delle caldaie in uso ridurremmo drasticamente le polveri sottili proprio in zone dove ci sono più centri abitati. A spanne, il potenziale permetterebbe di produrre energia green per circa 260 MWe e circa 2,2 GWt. Ma ribadisco: il target di questi nostri impianti non è la sostituzione di energia elettrica. Piuttosto è la sostituzione del gas metano perché oggi in Italia le emissioni da gas coprono oltre il 50% delle emissioni di CO2; e per lo più vengono prodotte dagli impianti di riscaldamento delle abitazioni».

E torniamo al tema della direttiva Ue «Energy Performance of Building»…
«Si, riteniamo sia molto più importante trovare una rapida soluzione alla sostituzione delle caldaie per il riscaldamento. Un piano che, a regime, ci consentirebbe di essere indipendenti da Russia e altri fornitori esteri. Con questi impianti nella Pianura Padana pensiamo di poter arrivare a dimezzare le caldaie a gas. E dunque di dare una forte spinta all’adeguamento alla direttiva Ue anche prima del 2035. Davvero è più importante portare calore dove serve che produrre elettricità. Il calore non ha alternative al geotermico. Non serve a nulla produrre calore con il sole se ho collettori fotovoltaici che funzionano bene in estate e poi in inverno lo stesso calore non c’è. L’unica soluzione su larga scala è la geotermia. E la conferma viene dal fatto che diverse società primarie che gestiscono teleriscaldamenti l’hanno confermata come soluzione valida e tecnicamente fattibile».

Tra le attrattive dell’espansione del geotermico in Italia c’è anche il tema del ridotto consumo di suolo, in superficie
«Sì. Noi come gruppo Fri-El Green Power abbiamo già 2 gigawatt sull’eolico e 1,2 sul fotovoltaico. Ma rileviamo che il geotermico è molto ben visto dalle amministrazioni locali perché il fabbisogno di suolo (lo spazio necessario per costruire gli impianti) è molto contenuto. Inoltre si tratta di strutture che potrebbero avere accesso ai fondi del Pnrr per la riqualificazione energetica del Paese». (ndr. già nel dicembre 2022 vennero stanziati 25,3 milioni di euro per realizzare teleriscaldamenti in Toscana).

 

Avete progetti in altre aree della penisola oltre a quelli della pianura padana?
«Sì, abbiamo altri progetti sia in Toscana sia al Sud, ma non sono così urgenti come al Nord, dove la situazione è grave per l’alto livello di inquinamento da polveri sottili. Eppoi ci sono situazioni oggettivamente difficili per il tele-riscaldamento: per esempio a Roma sarebbe difficilissimo realizzarlo perché non puoi scavare da nessuna parte senza incappare in un rinvenimento archeologico che blocca i cantieri. La stessa cosa vale per gran parte di Napoli, anche se stiamo concludendo studi del sottosuolo di Bagnoli. E nel capoluogo campano, pur non essendoci tele-riscaldamento, esiste già una rete di tubature (furono realizzate per la distribuzione del gas metano) mai utilizzate: potrebbe essere utilizzata per portare riscaldamento e raffrescamento nelle abitazioni».
«Anche l’esperienza di Monaco di Baviera ci conferma che è meglio investire nella Padania, che geologicamente ha un bacino di carbonati simile a quello della Germania meridionale. A Napoli, come gruppo, abbiamo dismesso da poco una centrale da 80 MWh a olii vegetali. E abbiamo concluso uno studio ad Acerra (vicino al Vesuvio) grazie al quale abbiamo individuato nel sottosuolo carbonati. Dunque anche lì c’è fluido geotermico e andando a 4.500/5.500 metri si potrebbero avere temperature di 160 gradi».

Al Nord dove procederete con maggior rapidità?
«A Milano, Bergamo e Brescia. Se le autorizzazioni arrivano velocemente, pensiamo di partire nel 2025 con gli scavi. Poi man mano con le prime infrastrutture per arrivare nel 2027 a dare il via alla costruzione di 3-4 impianti. Ci vorranno quindi altri 2 anni e mezzo. Se avremo il supporto delle istituzioni e delle amministrazioni locali potrebbe essere tecnicamente fattibile entro il 2030 o il 2031. Il vero collo di bottiglia sarà rappresentato dalle società che hanno le strutture per i tele- riscaldamenti: la loro capacità di ampliare in fretta le reti sarà cruciale, dato che la domanda è già oggi 10 volte superiore alla disponibilità attuale. Molti operatori del settore ricorrono ancora al consumo di fonti fossili per coprire la domanda, ma secondo il programma Eu fit for 55 saranno obbligate a ridurre la loro dipendenza dal fossile e aumentare le forniture di rinnovabili. E lo ripeto: l’unica soluzione è nelle fonti geotermiche di media entalpia».

Quanto prevedete di fatturare grazie alla geotermia?
«Nel progetto Pangea i primi 15 impianti hanno un valore d’investimento di 4 miliardi di euro. Potrebbero generare 2,6 GWt e 300 MWe. Ma è difficile calcolare il prezzo del calore che venderemo: se prendo a riferimento il prezzo del gas e calcolo quello che nel 2030 potrà essere il suo costo, credo che potremmo vendere calore generando fatturati altissimi. Posto anche che il costo di produzione del calore stesso è bassissimo nel campo della geotermia. Ora va considerato che quest’anno il governo dovrà mandare a Bruxelles il prospetto di come intende proseguire per il Re-power EU e la Renewable Energie Directive. In base ai valori che i politici andranno a stabilire, noi potremo fare una stima dei fatturati. Per forza di cose lo Stato dovrà prevedere un valore dell’energia geotermica che riesca finanziariamente a sostenete i costi degli impianti. Eppoi più a lungo si va, meno costerà l’energia geotermica, a perché questi impianti funzioneranno per duemila anni e la fonte di energia non costa niente. A differenza del gas».

BY LUCA ZANINI, MAGGIO 18, 2023

https://www.corriere.it/economia/23_maggio_18/calore-sottosuolo-120-mila-case-milioni-famiglie-non-dovranno-ristrutturare-essere-regola-l-ue-31cbc030-dc2d-11ed-a957-6a12e2c879aa.shtml

La centrale FRI-EL GEO